Nightguide intervista i Bear's Den

Nightguide intervista i Bear's Den

“So That You Might Hear Me” è stato registrato in diversi studi a Seattle con il produttore Phil Ek (The Shins, Fleet Foxes, Father John Misty) ed è stato mixato da Craig Silvey (Arcade Fire, Metronomy).
 
Il bisogno di connessione è una tematica centrale nel terzo album dei Bear's Den.  Allo stesso tempo sfacciato e vulnerabile, intimo ed espansivo, l'album riflette perfettamente queste caratteristiche nei primi due brani estratti. “Fuel On The Fire” sfocia dalla vibrazione viscerale di una drum machine e delle chitarre elettriche, mostrando così le tendenze più elettroniche della band. Mentre l'incantevole “Blankets Of Sorrow” lascia spazio alle sonorità più intime dei Bear's Den e affronta tematiche come l'amore familiare e il tentativo di raggiungere qualcuno che non può più essere raggiunto. I fan della band hanno fatto dei loro brani la colonna sonora dei momenti più emotivi delle loro vite, e anche So that you might hear me potrebbe fare lo stesso, grazie alle melodie leggere che si fondono con dei testi intensi, alle volte inquietanti e personali.
 
“So That You Might Hear Me” segue “Islands” del 2014, che ottenne una nomination agli Ivor Novello, e il più espansivo “Red Earth & Pouring Rain” pubblicato nel 2016, che ha raggiunto la posizione #6 nella classifica UK. La band ha venduto più di 500.000 dischi e “Red Earth & Pouring Rain” li ha portati in tour per ben quattro anni consecutivi, registrando la vendita di oltre 100.00 biglietti in tutta Europa inclusi i due show sold out alla Brixton Accademy e all'Hammersmith Apollo.  
Nightguide. Ciao Andrew! Volevo parlare di questo nuovo bellissimo disco, “So That You Might Hear Me”, uscito ad Aprile di quest'anno. Dopo tutti questi mesi direi che tu sia in grado di tirare un po' le somme di come sia stato preso da stampa e pubblico.
Andrew Davie. Si, è uscito ad Aprile e poi siamo partiti per il tour. Siamo stati in giro quasi per tutto l'anno fra America e Canada, e i festival estivi. Ci siamo divertiti un sacco, e a volte la gente già lo conosceva bene e non sembrava nemmeno di suonare cose nuove. E' stato anche bello avere una tastiera sul palco, e provare nuovi arrangiamenti.
 
NG. Siete sempre molto occupati; vi siete alternati tra realizzazione di album e tour che durano anni sin dal vostro esordio. Non vi fermate mai! Immagino sia dura!
AD. Si, è dura (ride), ma è parte del lavoro, o così dicono. In realtà suonare dal vivo è una parte così importante, le canzoni cambiano quando suoniamo dal vivo: diventano più grandi, piene, ed è bello vederlo succedere.
 
NG. Siete occupati anche perché non smettete davvero mai: questo disco è stato atteso per tre anni, ma in questi tre anni siete sempre stati in tour, quindi mi chiedevo quando avete avuto il tempo di andare in studio per registrarlo!
AD. Si, è vero (ride) Certo, quando finisci tardissimo di suonare non hai la forza di metterti a comporre, quindi troviamo il modo di farlo nei momenti più liberi, quando siamo in giro in tour. Anche adesso ci sono in giro delle idee, e in effetti ce ne sono sempre. Forse alla fine stiamo solo cercando una scusa per andare in tour! (ride)

NG. Questo è il primo disco che avete fatto come duo, giusto?
AD. Si, esattamente.

NG Non voglio parlare di ciò che è successo nel 2016, con l'uscita di Joey Haynes, perché i reali motivi immagino non si raccontano mai e siano privati, ma come mai avete scelto di restare in due e non avete trovato qualcuno che prendesse il suo posto in maniera definitiva?
AD. Beh, i ragazzi con cui suoniamo dal vivo sono quattro, e sono musicisti incredibili. Cristoph è bravissimo, ha un sacco di progetti diversi. Si, questi ragazzi sono praticamente parte della band, ma dopo 10 anni di relazione non ci siamo sentiti di rimpiazzare subito Joey con un altro musicista, forse non cerchiamo buchi da dover riempire per forza. I ragazzi con cui lavoriamo, comunque, riescono sempre ad aggiungere qualcosa alla musica, sono fantastici.
 
NG. State lavorando benissimo così, quindi non credo sia un problema per nessuno.
AD. Oh, grazie! (ride)
 
NG. Siete già usciti con dei singoli davvero forti, come “Fuel on the fire” e “Blankets of sorrow”. Ho visto che avete migliaia di visite su Youtube, ma vorrei parlare di “Hiding bottles” perché sono rimasto davvero colpito dal video, la musica e le parole. Iniziamo dal video: di chi è stata l'idea della storia?
AD. Fondamentalmente è la storia della relazione con una persona con problemi di alcool: negli ultimi due anni sono andato spesso da mia madre, che è alcolista, quindi puoi immaginare . Abbiamo realizzato che volevamo fare un video che fosse più che semplicemente una serie di immagini fighe ma che riuscisse ad aiutare, e credo che...la canzone ne parla, credo quindi che sia una buona occasione per aiutare chi si trova in questa situazione. E' una specie...per noi credo sia un modo di allargare le cose, renderle più inclusive e non solo limitate a noi stessi: è un modo per creare qualcosa che aiuti o metta in luce problemi come questo. Questa è l'idea dietro il video.



NG. Si, ho trovato il video straziante: vedi il video, e inizia come un video normale con una famiglia, e dopo un po' ti rendi conto che tutti i personaggi sono divisi in due. Questa storia è così forte, e non avevo capito perché la ragazza è l'unica ad essere rossa. Non so se vuoi spiegarlo, ma l'ho trovato davvero impressionante.

AD. Certo, sono sempre felice di sapere cosa pensano le persone. Diciamo che è una specie di elemento astratto. Non ne sono sicuro (ride).

NG. Non so perché, e non ne so il significato, ma adoro la frase “Hiding bottles in the cold blue light”. E' un'immagine molto forte di ciò che vuoi dire, e non so se ho capito bene, ma credo di esserci riuscito.
AD. Oh, grazie mille. E' una cosa molto bella da sentirsi dire. E' una frase che rende bene un concetto, suona bene, e sono felice che significhi qualcosa per te.

NG. L'altra cosa che ho sentito ascoltando il disco è che credo abbiate spinto un po' di più sul lato elettronico. Come mai avete preso questa decisione?
AD. Credo che per noi sia stata una specie di sfida, e penso che ci siamo voluti misurare anche con la drum machine e cose del genere. Abbiamo voluto esplorare, provare gli strumenti: è affascinante quello che puoi creare se ti apri a tutti questi giocattoli e non ti limiti solo alle chitarre. E' davvero interessante.

NG. Infatti ascoltano sembra che vi siate divertiti un sacco, e non è il tipo di elettronica che va di moda adesso, suona più anni '80. Ho sentito qualcosa che ha spinto la mia mente verso i Cure a volte.
AD. Oh, è meraviglioso! E' vero, siamo andati più sul vintage di altri, amiamo quella roba.
 
NG. Spete già se suonerete in giro l'anno prossimo, o avete altri progetti?
AD. Si, credo che a Febbraio proveremo a registrare qualcos'altro. L'anno scorso abbiamo fatto qualcosa con un'orchestra, e vogliamo provare a fare qualcosa in quel senso...e poi vedremo. Ora puoi far uscire musica, sia che tu abbia un disco o meno, quindi credo che ci divertiremo un po'.

NG. Se pensi al momento che vivi ora, e se dovessi scegliere solo tre parole, cosa significa per te la musica?
AD. Uhm...nostalgia, gioia e...conforto.

NG. E l'ultima domanda, la più difficile: se pensi al tuo passato e tutto ciò che ti ha portato qui, quali sono i tre dischi che ti hanno influenzato di più dal punto di vista musicale?
AD. Oh, ok. Direi “I See A Darkness” di Bonnie Prince Billy, mi ha aiutato parecchio. Poi c'è un album che si chiama “The Magnolia Electric Co.” Dei Songs: Ohia, che trovo sia un grandissimo album, e poi direi...il preferito di mia mamma, Carole King, Tapestry.

Intervista a cura di Luigi Rizzo

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